2.1. Aspetti generali
Un corretto approccio all’analisi della distribuzione della biodiversità deve necessariamente passare attraverso la conoscenza delle porzioni di territorio funzionali alla conservazione delle specie selvatiche, ovvero la “rete ecologica”. Negli ultimi anni la nozione di rete ecologica è utilizzata all’interno di molti ambiti scientifici, come riferimento teorico ed applicativo della funzionalità ambientale di un territorio. Questa grande diffusione è dovuta alle sue caratteristiche di strumento concettuale di grande versatilità, applicabile in uno svariato numero di contesti, che permette di schematizzare efficacemente diversi fenomeni naturali e antropici, in cui spesso è possibile distinguere elementi a diversa funzionalità che si intrecciano tra di loro come le maglie di una rete.
Si possono identificare quattro ambiti principali in cui il concetto di rete ecologica viene applicato (Reggiani et al., 2000):
- nella pianificazione territoriale, dove la rete è lo strumento che permette la rappresentazione del dinamismo e dell'interdipendenza delle componenti naturali ed antropiche;
- nei programmi di sviluppo socio‑economico "sostenibile", dove la rete è stata usata per rappresentare, in modo flessibile, risorse, flusso di informazioni, competenze e servizi compatibili con la conservazione delle risorse naturali del territorio;
- nella progettazione di un sistema integrato di aree protette e nella valutazione della loro efficacia;
- nelle discipline scientifiche dell'ecologia e della biologia della conservazione, dove il concetto di rete sintetizza efficacemente le dinamiche alla base della distribuzione delle forme di vita sul territorio.
In tutti questi ambiti, nell'individuazione di una rete ecologica sono per lo più presenti tre fasi:
- identificazione degli elementi della rete;
- individuazione delle aree con funzione di connessione ecologica;
- individuazione della diversa funzionalità degli elementi all’interno del sistema.
Come affermato in precedenza, le reti ecologiche sono uno strumento concettuale di estrema importanza ai fini di un assetto sostenibile di uso del territorio e della conservazione della natura. Questo concetto prende forma partendo dalla constatazione ovvia che tutte le specie, vegetali ed animali, sono distribuite in maniera non omogenea sul territorio e che questa discontinuità è dovuta in primo luogo all’azione di fattori naturali intrinseci sui quali si inseriscono ed agiscono fattori antropici. È quindi evidente come il concetto di rete ecologica si esprima nella pratica in maniera completamente diversa a seconda del gruppo tassonomico preso in esame. La rete ecologica complessiva, che è rappresentata dalla sovrapposizione delle cenosi vegetali e della distribuzione animale, ha come risultato una fitta parcellizzazione del territorio in aree omogenee, che rappresentano la reale rete ecologica globale che insiste sul territorio.
Nella pratica, per poter utilizzare le reti ecologiche come uno strumento operativo di gestione del territorio è necessario realizzare una aggregazione di aree omogenee dal punto di vista ecosistemico fino ad arrivare ad un grado di dettaglio idoneo alla scala di applicazione, in modo da poter gestire le informazioni ottenute con gli strumenti classici della pianificazione territoriale.
Per poter ottenere sufficiente mediazione tra le esigenze degli organismi animali e quelle della gestione territoriale, si può pensare ad una rete calibrata sulle necessità delle specie ritenute più importanti (specie chiave e “specie ombrello”) per la conservazione delle popolazioni animali e vegetali e per la funzionalità ecologica del territorio.
Dal momento che non è possibile valutare le esigenze di tutte le specie esistenti in un dato ambito territoriale, ci si deve necessariamente limitare a quelle ritenute determinanti per il loro grado di minaccia o il loro ruolo funzionale all’interno dei sistemi ecologici.
In mancanza però di dati diretti sulla presenza e il grado di utilizzo del territorio da parte delle differenti specie, si fa talvolta uso di modelli matematici che, sulla base delle informazioni disponibili sulla distribuzione e sull’idoneità ambientale per un numero limitato di indicatori, popolazioni o di taxa, attraverso algoritmi appropriati e grazie a basi di dati ambientali e geografiche disegnano mappe potenziali di distribuzione e di idoneità (Franklin 2009). Tali modelli permettono infatti di integrare e sintetizzare le relazioni specie-ambiente e rappresentano un valido strumento di supporto alle indagini conoscitive e ai progetti di conservazione e gestione territoriale (Duprè, 1996) restituendo una cartografia della articolazione delle aree in grado di offrire diverse qualità di habitat per ogni specie. La sovrapposizione fra i valori di idoneità di un certo numero di indicatori consente di individuare le aree nelle quali si riscontrano i valori sommati maggiori. Un esempio ben conosciuto in Italia è quello della REN-Rete Ecologica Nazionale (Boitani et al. 2002). Nel caso di specie selvatiche, talora molto elusive e difficilmente censibili, questo metodo di indagine rappresenta spesso l'unica possibilità sulla base di una valutazione costi/benefici per una caratterizzazione a priori dell'idoneità di un ambiente a sostenere una popolazione animale. L’affidabilità di questi modelli è però condizionata da diversi fattori quali la disponibilità, la precisione e l'omogeneità dei dati per le diverse aree di studio.
Questo approccio può rivelarsi idoneo a descrivere delle distribuzioni attese quando le basi di dati ambientali sono di buona qualità, aggiornate e atte a spiegare le relazioni tra le variabili influenzanti la distribuzione, l’abbondanza e la fitness degli organismi considerati. Tuttavia, nessuna base di dati fino ad ora conosciuta è in grado di contenere tutte le informazioni possibili. L’approccio modellistico diventa indispensabile quando si tratta di individuare e prevedere gli effetti di processi ecologici ai quali non è dato di assistere localmente, quali gli eventi di dispersione degli organismi da un’area idonea a un’altra. In questi casi, la necessità di individuare i fattori riconoscibili sul terreno e nelle basi dati ambientali e di correlarli a probabili comportamenti ed eventi (l’organismo attraversa l’area, vi si sofferma, o la evita) o esiti (l’organismo ha probabilità variabili di transitare nell’area con esito non letale), ha portato all'elaborazione di diversi modelli ecologici.
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